Come abbiamo già fatto in precedenza pubblicando una poesia del compianto Napoleone Ianni dedicata a Ciccuzzu du Canadà, continuiamo a dare spazio ai ricordi prosastici o poetici degli Emigrati Aiellesi. Rinnoviamo, senza stancarci, l'invito a tutti voi di inviarci foto d'epoca di quando siete partiti da Aiello, memorie, aneddoti ecc.
Qui, di seguito, ecco una poesia di Ugo Pagnotta che parla dell'antico quartiere aiellese della Praca, tratta dal suo libro di memorie.
La Praca deserta
Prima l’aereo, poi il treno, verso la meta:
il paese mio.
Stanco, nell’autobus m’addormento.
Nel sonno addormentato
rivedo i luoghi, il passato, la mia gente.
M’ha scosso d’una campana il suono,
odo, ma non è la melodia del campanaro che ricordo io.
Visto il campanile, sono sceso
Santa Maria, la piazza dell’infanzia mia.
Il circo qui alzava la tenda,
sul palco illuminato si esibiva la banda
per le feste dei santi ed erano veramente tante.
I nobili giravano la piazza con la muzzetta rossa, in processione,
quattro portavano il palio,
esclusività loro, per coprire l’Ostensorio.
Al calcio era qui che si iniziava,
immortalando la storia con campioni.
Con lo sguardo cerco il monumento,
ma lì nel mezzo troneggia un distributore.
Noto un cancello, un’inferriata,
la sua ampiezza è più che dimezzata,
l’han rimpicciolita.
Non vedo la fontana, u trappitu,
la falegnameria di Alfonso Aragona,
zia Anna Bennardo e Pasquale Travo,
la bottega di Alfonso Pedatella
piena di botti e di tinelli.
Non più la farmacia.
Dalle finestre non filtra una luce,
non odo suoni o mormorii di voci,
non un panno dai balconi ad asciugare.
Tremo a quel silenzio tombale.
Mesta è la casa del postino,
chiusa la cantina Solferino,
ed il negozio della zia Adelina.
Non una frasca per scaldare il forno.
non Berto ‘e Yusca, Grazia, o Maria la principessa.
Sono alla Praca,
la piazza centrale del mercato ideale.
Non vedo Rosario Civitelli il pignataro,
Nicola Pagliaro, lo stagnino,
Riccardo Capparelli e Vocaturo, Ciccariello Nardi,
la barberia di Scuscu, il tabacchino,
mastro Nicola ‘e Zompa il calzolaio, Rafele
Civitiellu, Fruonzu Piloscio il macellaio
È deserta, solitudine, squallore
Era splendore}
Muniti di crivielli e panarielli,
era un via vai di gente ogni mattina,
Arrivava la primizia da marina.
Frutta fresca, pomodori, melanzane, peperoni, cipolline,
esposti a terra, tutto ben di Dio che si gradiva..
C’erano fichi d’India, castagnaccio ed i lupini,
piantine per i contadini.
Cucume, gavate e pignatielli
Taralli in bancarella, prodotto esclusivo d’Aiello
Per monumento c’era la fontana,
l’acqua scorreva senza interruzione,
con cucume, cati o cassarole
la gente si forniva e non mancava mai.
Per noi ragazzi d’estate era piscina,
non conoscendo di meglio ci bastava.
In tempi lontani c’erano Peppino e Celio e don Scibiune,
Susanna ‘e Ciccariellu Nardi,
uniti al nonno mio ch’era assessore,
sorvegliavano la piazza con rigore.
Chi sporcava doveva pulire,
chi rumoreggiava doveva lasciare.
Mandato ereditato dai loro avi,
era un orgoglio, un vanto Pracaruolo.
Mario, Elio e Robertino, ormai rimasti soli,
arduo tentativo dovran fare,
fare rinascere, riportare ai vecchi allori
quella piazza che non aveva uguale.
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