Il salone si conserva ancora come quando era in piena attività, prima che andasse in pensione. Lo specchio oblungo riflette tutti gli oggetti e gli strumenti che hanno avuto una funzione. Le forbici, le lame per radere, pettini e spazzole, la mitica brillantina, il pennello per la schiuma da barba, il seggiolino per i bambini con la testa di topolino. Tutto è rimasto com’era. Dalle vetrinette fanno capolino fotografie ingiallite, ritagli di giornali, vecchi calendarietti di quelli profumati, ricordi vari. È un piccolo museo dell’amarcord. Qui, come in una recente descrizione dei barbieri del sud del vecchio secolo, del giornalista Paride Leporace, «l’attesa del turno era lenta»; qui, «La modernità del vecchio barbiere è un ventilatore che taglia a fette l'aria del vecchio tempo».
Mastr’Adorfu, così lo chiaman tutti, ma il vero nome è Rodolfo, il protagonista di tanti anni passati con le forbici in mano, l’ultimo dei “varbìeri” ajellesi, è ancora qui. Ogni tanto, va in giro a trovare amici e parenti, infermi a letto; e per carità cristiana, a chi accorcia i capelli, a chi rade la barba. È un ancora giovanile signore, di minuta corporatura, capelli bianco grigi, sempre ben rasato. Per la sua curiosità avrebbe potuto fare anche il giornalista. Si informa di questo, chiede a quell’altro, ti racconta cosa è successo, cosa si dice in piazza, ti chiede il perché ed il percome. Non è difficile incrociarlo. Più volte al giorno se ne va a trovare i propri cari al Cimitero.
Mastr’Adorfu – come pure lo sono stati tanti altri artigiani del luogo, oramai passati a miglior vita – era e rimane tuttora un punto di riferimento per quegli Aiellesi che vivono fuori paese. Sono stati suoi clienti, e quando ritornano, specialmente d’estate, non mancano di passare dal vecchio salone per salutarlo. Il suo, il vecchio salone, come anche le vecchie e innumerevoli “putighe” di una volta sparse per il paese, era una sorta di ritrovo. Frequentato non solo per farsi la toeletta, ma per leggere il giornale, o parlare, come si suole dire, del più e del meno.
A sprazzi ci ha raccontato la storia della sua vita e dell’attività artigianale durata per un quarantennio. Nato ad Aiello nel marzo del ’35, giovanissimo, Rodolfo Sicoli va a imparare il mestiere nella “putiga” di mastru Fiorenzo Pucci. Diversi anni di apprendistato e poi, come tanti coetanei in quel periodo, dopo la seconda guerra, se ne va a cercar miglior fortuna, un po’ a Milano, e poi a Roma, sempre come aiutante barbiere. A 18 anni, nell’autunno del 1953, decide di mettersi in proprio, e apre il suo salone ad Aiello, dove era nato e dove avrebbe formato famiglia. Per oltre quarant’anni, “il simpatico figaro” dell’antico paesino di Ajello chissà quanti baffi ha sagomato, quante barbe ha raso, e quanti tagli di capelli, a padri di famiglia e giovanotti. Nel dicembre del 1962 sposa Gilda Lepore. Dal loro matrimonio nascono Carmela – che perderanno prematuramente nel 1994 – e Graziella che i coniugi Sicoli li ha resi nonni. Il 1994, a dicembre, il salone chiude i battenti. Mastr’Adorfu se ne va in meritata pensione. Ogni tanto, però, riapre le porte per liberare i ricordi. Ricordi che per un po’ ci riportano indietro negli anni, con nostalgia.
anche mio nonno era barbiere peccato che non ha una foto lui era eugenio Bernardo ciao rita dalla spezia
RispondiEliminapeccato che non ce una foto di mio nonno eugenio Bernardo anche lui era barbiere a aiello ciao rita dalla spezia
RispondiElimina