"(...) Il 27 marzo del 1638, un terribile moto tellurico - scrive Rocco Liberti in Storia dello Stato di Aiello in Calabria - aveva ridotto in macerie gran parte delle città calabre e aveva prostrato a tal punto la stessa Aiello, che da quell'epoca non riuscì più a risollevarsi completamente ed a ritornare agli antichi splendori. Ecco come il parroco del tempo descrisse il triste avvenimento sul registro dei morti: <A li 27 del mese di Marzo 1638 furono li terremoti in questa terra co la ruina della maggior parte delle case et morirono molte et diverse persune conforme appare per lista et nota scritta in presentia de più personi per mano de l'egregio Notar Gio. Angilo Inserra così de li parrocchiani della matre chiesa come de li parrocchiali di S. Giuliano et S. Nicola sicome appare de l'infrascripta lista posta et cusita nel foglio penultimo>. (...) Aiello, che nell'occasione venne quasi distrutta, dovette lamentare la perdita di ben 239 vite umane e il crollo parziale del castello, con abbattimento delle mura e delle torri".
Qui di seguito, riportiamo la poesia di Giuseppe Di Valle, tradotta dal latino dallo stesso Liberti.
Fermati
o viandante
non ti farò indugiare.
Ohimè ohimè, ora son irti
e
squarciati
ruderi
quei bastioni che
la Magna Grecia edificò
saldi contro il tempo
sicuri contro il nemico
lusingando
Flora, Pomona, e Cerere.
E si abbattè insospettato
il terremoto
nelle soavissime delizie.
Ohimè quanti morti
ohimè quanti morti
quanti dirupi ohimè
nonché vita fluente
in cruento e frettoloso sepolcro.
Va' ora e impara la sorte della Terra
dal destino sfavorevole.
Impara la lealtà della Terra.
1638
Giuseppe di Valle
superstite inconsapevole
e piangente della distrutta Patria.
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